L'onicofago mira al sodo: non gli interessano le parti molli, la cheratina è il suo obiettivo, la sostanza insapore, ma parte sporgente del sé, da ottundere con un lavoro certosino con i denti svolto lentamente per croccanti spacchi e strappi. La pellicina ai lati dell'unghia all'onicofago poco importa. Sporge, inutile, ai fianchi dell'opera demolitoria; però, dà fastidio, fuoriesce anch'essa, sebbene molle e lontana dalla concretezza dell'unghia, è il segnale simbolico di un lavoro fatto a metà, di un'opera incompiuta.
Mentre l'unghia tagliata è qualcosa da espellere, da eliminare, la pellicina, che è ancora parte del nostro corpo, è carne viva e dolente. L'onicofago lo sa, ma non può sopportare che un lavoro di perfezionamento della mano così ben concepito ( la dispercezione della bellezza di questa parte del corpo è segno evidente della grave psicopatologia dell'onicofago...) non abbia il suo completamento naturale. E' la pennellata in più che dà al quadro un'altra intensità, è l'ultima levigatura della statua, il tocco finale della perfezione. Il dente si avvicina, guardingo ( lo so: non si dovrebbe dire di un dente...), e tira. La pellicina strappata si allunga e immancabilmente strappa un piccolo brano di carne. Inizialmente, qualche goccia di sangue segnala la profanazione del corpo, ma inesorabile l'infezione si allarga e, nel giro di pochi giorni, il dito è infetto, purulento e pulsante. E il corpo grida ancora le sue ragioni e ci richiama all'imperfezione del mondo.
©arz
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