Noto un certo scoramento in chi si
cimenta in questi tempi grami in Italia, da professionista, da
semiprofessionista e da dilettante nella Satira.
Non è la paura della censura (e che
opera alla grande e senza freni in molti Paesi): in Italia al massimo
si rimedia una denuncia dal politico di turno con l'orticaria
facile, ma in galera non si va ancora (c'è sempre tempo, sia
chiaro).
L'unica pena ormai evidente e accettata, obtorto collo, è la
marginalità del proprio messaggio, nonostante che i Social diano
l'impressione fallace dell'amplificazione.
C'è di peggio, però: chi fa Satira si
sente del tutto impotente rispetto a ciò che sta succedendo.
Il “Castigat ridendo mores” si è
ingrippato alla grande e, spesso, anzi, si ha la sensazione che mettere in luce le tare
di una classe politica oggettivamente inetta non faccia altro che il
suo gioco; perché ormai di nulla si vergogna e i fan, come impone il
nome, sono refrattari ad ogni critica nei confronti dei loro idoli
politici che sono Dei anche a fronte di comportamenti di immane follia umana e etica.
E il fenomeno osceno (e anti-intuitivo) è quello di vedere il numero dei fan crescere al crescere della provocazione cazzara.
Chi fa Satira si sente come l'uomo
comune di mattina davanti al gorgo che porta via l'acqua calda del
lavandino: vorrebbe limitare il flusso col tappo, ma, ormai consapevole che
il meccanismo non funziona, si rassegna a farsi a barba con l'acqua
fredda.
Non rinuncia, ma il rasoio, meno scorrevole, si
inciampa sulla pelle, lasciando tagli e taglietti. Dolorosissimi.
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